Il Museo Etnografico “A L’Alboron Costa di Rovigo nel tempo” vuole raccogliere, archiviare e valorizzare i documenti e i reperti storici del territorio di Costa di Rovigo esplorandone in particolar modo la storia economica, sociale e religiosa.
La società costense, come quella di molti altri territori polesani, si basa principalmente su un’economia agricola. Per questo motivo, ben si adatta la scelta di un percorso tematico ed espositivo che ruota attorno al ritmo delle stagioni.
Queste, dai tempi più remoti, hanno infatti profondamente condizionato e plasmato la vita delle comunità contadine, determinandone le diverse risorse alimentari attraverso le colture più adatte, nonché la tipologia e la disponibilità di materie prime.
Già dalla rivoluzione neolitica, circa 7500 anni fa, l’economia, le tecnologie e in particolar modo le usanze delle società contadine hanno mantenuto le proprie caratteristiche nel tempo. Nonostante guerre e carestie, l’uomo è stato in grado di adattare i propri mutamenti economici, sociali e culturali ai cambiamenti ambientali legati al ciclo delle stagioni attraverso l’adozione di tecnologie ed invenzioni diverse a seconda delle necessità. Nelle regioni temperate, come quella in cui viviamo, l’adattamento partì dall’assunzione di uno stile di vita stanziale in zone idonee alla coltivazione cerealicola, per poi espandersi in aree meno ospitali come pianure depresse, fasce perilagunari, valli montane.
Partendo da questa consapevolezza, la collezione del museo intende dunque raccontare come i padri che vissero nel nostro territorio seppero adattare la propria economia a vocazione agricola alla società e al dinamismo che questa ha insito in sé e come questa economia influì a sua volta sulla cultura e sulle tradizioni locali, avvicinando il visitatore ad una vita quotidiana diversa dalla nostra ma non così lontana.
Il territorio
Le divagazioni e i rami minori dell’Adige, formatisi in passato da rotte improvvise del grande fiume tra il Veronese e il Polesine, furono causati da eventi climatici, ma più frequentemente dalle guerre occorse tra le signorie medievali. Nella maggior parte dei casi questi fenomeni non sortivano cambiamenti importanti, ma si limitavano a temporanei prosciugamenti del corso d’acqua poi ripristinato attraverso l’intervento umano finalizzato ad erigere nuovi argini, rinforzare i tratti incurvati soggetti alla pressione idraulica, ridefinire le zone golenali. Nei casi più determinanti essi invece provocavano deviazioni definitive, a seguito delle quali il fiume assumeva nuovi percorsi oppure formava un ramo di una certa importanza, con grande utilità per le attività commerciali. Fu, questa, presumibilmente la ragione che spiega l’esistenza dell’Adigetto di Badia Polesine, nato da una rotta in località Pizzon attorno al 950 a.C. e mantenuto in vita attraverso un sistema idraulico e la costruzione di importanti arginature. Esso scorre, quindi, su una pianura formata dagli apporti sedimentari dell’Adige e del Po o delle sue diramazioni attive in epoca romana e pre-romana.
Un paesaggio apparentemente piatto e monotono, ma che ad uno sguardo più attento si rivela molto più complesso: a dossi sabbiosi, interpretati come i residui degli antichi rami fluviali che attraversavano questa zona del Polesine negli ultimi tremila anni, si alternano depressioni fangose, denominate “valli” ed occupate da laghi e paludi oggi bonificate. Un esempio era il lago che si estendeva nel XII secolo tra Costa e Villamarzana, la cui presenza oggi è ricordata nel nome di una via. Il maggior grado di compattazione dei sedimenti finii, cioè limi ed argille, rispetto a quelli grossolani, le sabbie, esalta la differenza tra queste forme di paesaggio, lasciando in evidenza ampi
dossi fluviali che costellano da Ovest ad Est il territorio compreso tra l’Adige e il Po. Su questi paesaggi l’insediamento agrario si sviluppava rispettando criteri rimasti inalterati nel tempo: i dossi venivano scelti per l’installazione della abitazioni e lo scavo dei loro pozzi, le zone circostanti per le coltivazioni, i laghi e le paludi per la pesca e la caccia, tanto che i tracciati stradali, le suddivisioni e la disposizione dei campi assumevano andamenti particolari, in funzione del reticolo disegnato dall’azione dei fiumi. I percorsi stradali, in particolare, rivelano attraverso il loro andamento tortuoso l’esistenza di antichi percorsi fluviali, di canali secondari, correndo talora lungo il bordo di vasti specchi d’acqua, come ricordano i toponimi Cannalle, Lago, Scolauro in Costa.
Frequente era il problema di difendersi dalle rotte fluviali che rilasciavano grandi quantità d’acqua verso le campagne, causando danni ingenti alle produzioni e alla gente. Dai documenti dei secoli XVII e XVIII si deduce in quale stato di precarietà versavano gli argini dell’Adige e dell’Adigetto che, ad ogni minaccia di piena si riempivano di uomini, buoi e cavalli da tiro intenti al trasporto di terra e legname per palificate e paradori.
La stabilizzazione dei corsi d’acqua e la loro regimentazione era quindi uno dei principali presupposti per operare l’organizzazione fondiaria della fertile pianura polesana attraverso una parcellizzazione minuta, particolare, segnata fin dall’età romana e continuamente modificata nei secoli successivi, fino a giungere alla situazione attuale di estrema desolazione in obbedienza allo sfruttamento agricolo e monocolturale.
FONTI BIBLIOGRAFICHE:
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M. Ferrari, 1987-88, Studio geomorfologico e geotecnico di un’area di Pianura nei pressi della città di Rovigo. Università degli Studi di padova, facoltà di Scienze MM. FF. NN., Dipartimento di Geografia, Tesi di laurea inedita.
A. Bondesan, G. Caniato, D. Gasparini, F. Vallerani, M. Zanetti, 2003, Il Brenta. CIERRE Edizioni, Sommacampagna, Verona.
A. Mazzetti, 1983, Costa. Vita economica sociale religiosa di una comunità sul fiume. Note storiche. Cassa Rurale e Artigiana di Lusia e Cavazzana.
Pagina aggiornata il 02/08/2023